Testimonianza di R.

  Superare gli attacchi di panico
e ritrovare se stessi con il Rebirthing

        Ho sempre pensato di sapere tutto di me stessa o almeno di conoscere abbastanza quello che c’era da sapere. Tu nasci, cresci, sviluppi l’intuito e le percezioni, e la cosa che dai più scontata di tutte è di avere un corpo, di possederlo, che lui è tuo e basta.

        Quindi pensi che le vertigini, la nausea, il forte mal di testa, l’insonnia abbiano una causa fisica, perché esplodono così da un giorno all’altro. Un virus intestinale? Un improvviso calo di pressione? L’estate a Milano è afosa, ancora di più se trascorri 40 minuti nella metro verde in orario di punta e fai tre lavori contemporaneamente per arrivare a fine mese. Sì un po’ di stanchezza, ma poi ti rendi conto che no, non è solo quella: c’è davvero qualcosa che non va. Soprattutto se, per la prima volta nella tua vita, chiedi di essere portata in pronto soccorso e ci rimani sette ore a fare la fila, due con un ago ficcato nel braccio e poi vieni rispedita a casa con una sospetta gastrite.

        Così di botto, senza aver mai sofferto di nulla prima se non qualche raffreddore, ma lievi, senza febbre. Una salute di ferro che d’improvviso ti abbandona e tu non sai perché.

Passano altre nottate in bianco, a camminare avanti e indietro al buio del salotto, sbattendo la testa per la stanchezza e la paura, le stesse emozioni che ti sbarrano lo stomaco, ti fanno cedere le gambe a ogni passo, non ti fanno uscire di casa. E finalmente, quando qualcuno ti dice che non è il tuo corpo ma la tua mente a essersi bloccata, è come un pugno in pieno addome che ti fa accartocciare, ripiegata su te stessa come un fiore che si chiude, un bambino che si accuccia nel letto e non vorrebbe svegliarsi più.

        A quel punto capisci che devi fare qualcosa, perché così non si può andare avanti. Non ti riconosci, ti vedi allo specchio con cinque chili di meno e litri di linfa vitale che senti uscire via dalle tue vene senza poterli fermare. Parlarne è uno sfogo ma momentaneo, scopri che tutti attorno a te hanno avuto gli attacchi di panico, solo a pronunciare queste parole tremano ancora di angoscia e tu fremi scossa da quelle mani invisibili che continuano a tormentarti in ogni istante, ma nessuno ti dice cosa poter fare, solo i soliti farmaci e quegli sguardi languidi da compassione gratuita che vorresti cancellare se solo avessi le forze di ribellarti. Più ci provi più si stringe la morsa allo stomaco, come le sabbie mobili.

Allora sei di fronte a una scelta, forse la più importante della tua vita: come affrontare la situazione, perché in ogni caso è un tuffo nel vuoto. Nel vuoto di qualche blister della farmacia o in quel vuoto freddo che dentro di te hai scavato pian piano, in anni e anni di maschere che hanno preso il sopravvento sulla tua nuova natura. E tu non sai più chi sei.

Me lo sono sentita ripetere poche volte ma senza capirlo, adesso so che è vero: gli attacchi di panico sono un campanello di allarme che la vita suona per te. In quel momento il destino, la tua coscienza, il tuo sé o chi per lui ti dice “fermati, rifletti perché così non va bene”, e se tu non lo ascolti lui, prima o poi, ti urla dentro. E quando lo fa è la tua grande occasione di svolta, di crescita.

        Guardare adesso al passato mi fa capire che non ero nella direzione giusta, mi adagiavo nella promessa che prima o poi avrei fato le giuste scelte, prima o poi avrei cambiato le cose, ma come sempre capita quel prima e quel poi non arrivavano mai.

        Del respiro ne avevo sentito già parlare da tempo da chi l’aveva sperimentato su di sé con grandi benefici, ma era un’altra di quelle cose da rimandare di continuo sotto le solite scuse del non-ho-tempo, non-ora. Ma quando si ha l’occasione di farlo, quando qualcuno ne parla con occhi illuminati ed emana quella positività che si può quasi toccare con mano, che solo a respirarla ti cambia la giornata, allora è il momento di chiedersi: se non ora, quando? La risposta è semplice, al di là di tutte le barriere culturali e i pregiudizi che possiamo costruirci: ora, il momento giusto è sempre ora.

        Qui e ora, è questo che impari a vivere respirando, vivendo quel semplice meccanismo incondizionato che è il respiro, una cosa così scontata eppure estremamente preziosa.

E a ogni respiro, a ogni risveglio, a ogni passo fatto ti senti lentamente tornare alla vita perché ripulisci tutto quello che avevi frettolosamente spazzato sotto il tappeto per dare una parvenza di ordine e tranquillità. Quando inizi ad abbandonarti completamente, entri in profondo contatto con il tuo io e le parole non bastano a spiegare la completezza e la pace che questa esperienza fa crescere dentro di te.

        Ognuno può scegliere come viverla, io ho scelto di guardare in faccia le ombre e seguire quel cammino iniziatico verso la mia libertà.

        Non è una questione culturale e neanche sociale, ero come la coppa colma che trabocca senza sosta, piena di sofismi e pensieri che mi erano stati inculcati, solo che non me ne rendevo conto.

Adesso è tutto passato, non credevo di poterlo dire. Le mie mani non tremano più, i miei sonni sono profondi e ogni cosa è permeata dalla stessa meraviglia che provavo un tempo a scoprire pian piano il mondo.

         La vita è un cammino lungo il sentiero. Spesso ci sono ostacoli, anche i più insormontabili hanno sempre una via di passaggio, magari più tortuosa e difficoltosa, ma portano comunque a qualcosa. Ogni giorno impari a stare ben salda con i piedi, le tue gambe si irrobustiscono, il tuo cuore diventa più forte. E sai che nulla è davvero impossibile, se la tua mente è libera e cosciente. Per troppo tempo l’ho tenuta intorpidita e sedata da alcol e droghe, per anni ho represso la mia creatività castrando le mie inclinazioni artistiche e cercando di calzare l’abito stretto che avevano ricamato altri per me. Da questa esperienza ho imparato molto: la vita non è una serie di gesti da compiere quotidianamente, non è un dovere sociale, non è un diritto innato.

        La vita è una scelta e ci vuole coraggio, perché troppi esistono appena, ma davvero pochi osano vivere.

Benvenuti gli attacchi di panico, benvenuti gli incubi, benvenuti gli stravolgimenti e anche le disgrazie, perché solo dopo la notte più scura può sorgere il sole di un nuovo giorno.