Milano 09 febbraio 2010

Per tutta la prima metà del Novecento la nevrosi era generata soprattutto dal conflitto tra regole e trasgressioni, tra permesso e proibito. Vivevamo in quella che il sociologo francese A. Ehrenberg chiama “società della disciplina”. Ma a partire dagli anni Sessanta il clima culturale e sociale cambia e questa contrapposizione tramonta per fare spazio progressivamente a un conflitto più lacerante che è quello tra “il possibile e l’impossibile”. Nella società dell’efficienza e del successo a tutti i costi e con qualsiasi mezzo, l’individuo non è più giudicato sulla base della sua obbedienza e del suo rispetto delle regole, ma per la sua iniziativa e soprattutto per i risultati che ottiene, mentre si dilatano senza fine le aspettative e gli obiettivi da raggiungere. Dove non ci sono limiti e norme “tutto è possibile”. La famiglia e la scuola diventano spesso luoghi di permissività, di trascuratezza e disimpegno, esaltano il modello della “riuscita sociale”e non si dedicano abbastanza all’educazione dei giovani che vuol dire prendersi cura della loro personalità, del loro cuore e della loro anima. Dove non ci sono limiti e confini, valori e morale è difficile costruire il senso della propria identità, imparare a fare scelte personali, sviluppare il senso critico. La domanda non è più “ho il diritto di compiere questa azione” ma “sono capace di compiere questa azione”. L’esito può essere la patologia antisociale. Più frequentemente assistiamo oggi a un aumento vertiginoso dei disturbi da ansia, depressione e attacchi di panico che si originano, in gran parte dei casi, proprio dal senso di inadeguatezza e svalutazione di se stessi per ciò che ti dicono che si potrebbe fare e non si è invece in grado a fare. Ma ci chiediamo mai se ciò che ci dicono di fare è giusto e ci corri