Trump e il mondo dopo Trump
L’evoluzione si autocorregge
di Ken Wilber
( Prima Parte)
libera traduzione dall’inglese di Giovanna Visini
Parte I: Uno sguardo d’insieme
A conti fatti, la risposta all’elezione di Donald Trump come nuovo Presidente degli Stati Uniti è stata estrema, viscerale e rumorosa da entrambe le parti. I sostenitori di Trump sono stati spesso odiosi e miserabili nei loro comportamenti, gridando: “Ve l’avevamo detto!” “Finalmente avete quello che meritate!”, gongolando per l’inattesa, ma per loro del tutto giusta e appropriata vittoria. Gli oppositori di Trump sono stati, se possibile, ancora più rumorosi, con la gente che diceva di aver vomitato, gridato, passato infinite notti insonni, di aver perso quasi del tutto la fiducia nella democrazia e in ogni sorta di idealismo (varie persone avevano promesso di lasciare il paese se Trump avesse vinto); molti affermavano di considerare questa elezione la vittoria dell’odio, del razzismo, del sessismo, della xenofobia, della volgarità, e, poi, come sempre, promettevano di continuare “la lotta” e sollecitavano i loro seguaci americani a combattere con loro, a non arrendersi.
Entrambe le parti, secondo la mia opinione, sono prigioniere di un visione troppo ristretta. In realtà, ci troviamo qui in uno uno scenario molto più ampio, e vorrei delineare quale potrebbe essere. Non ho mai sentito nessun altro proporre la particolare visione che sto per descrivere, ma credo che rappresenti una visione più profonda e integrale, e, in quanto tale, può essere illuminante e liberatoria. La pena e la sofferenza che entrambe le parti provano, è, secondo me, il risultato di un’identificazione con una visione troppo angusta, mentre una posizione più ampia e comprensiva potrebbe offrire un vero sollievo – permettendo comunque a ognuno di continuare a lavorare per la parte che preferisce.
Di tanto in tanto, la stessa evoluzione deve riaggiustare la sua traiettoria, alla luce di nuove informazioni sullo svolgimento del suo percorso, e questo (apparentemente spontaneamente, ma in realtà grazie al campo morfico più profondo che di fatto sta operando) comincia attraverso vari movimenti che sono di fatto aggiustamenti evolutivi autocorrettivi. L’avanguardia della evoluzione culturale è oggi – in realtà già da quattro o cinque decenni – l’onda/livello “verde” (“verde” significa lo stadio basico dello sviluppo umano conosciuto da vari modelli di sviluppo evolutivo come pluralistico, postmoderno, relativistico, individualistico, inizio dell’ autorealizzazione, interrelazione umana, etc.; a esso ci si riferisce genericamente come lo stadio “postmoderno”). L’obiettivo primario di un’avanguardia evolutiva è essere proprio questo: un’ AVANGUARDIA dello svolgimento evolutivo, quella che Maslow chiama “la punta più alta della crescita evolutiva” – essa cerca di trovare (cioè, una parte della sua opera di selezione premia la scoperta di) aree che sono le forme più appropriate, più complesse, più inclusive, più coscienti possibili in quel particolare tempo e punto dell’evoluzione (usando termini della Visione Integrale, le forme che meglio si adattano al dispiegamento della Matrice AQAL, cioè la matrice “Tutti i Quadranti/ Tutti i Livelli” in tutti i suoi elementi).
(Sulla Visione Integrale e il modello AQAL si possono trovare molti brani tradotti di Wilber e articoli miei su questo Sito, NdT)
All’inizio degli anni ’60, lo stadio evolutivo “verde” cominciò a emergere come la maggiore forza culturale e in quanto avanguardia dominante superò velocemente lo stadio arancione (che era l’avanguardia precedente; questo stadio arancione è definito in vari modelli come moderno, razionale, operatorio formale, risultato, traguardo, merito, profitto, progresso, rigoroso). L’inizio dello stadio verde fu caratterizzato da forme che erano in generale sane e molto appropriate (ed evolutivamente positive) – il movimento di massa per i diritti civili, il movimento globale per la difesa dell’ambiente, l’emergere del femminismo in ambito personale e professionale, i movimenti contro i crimini basati sull’odio religioso, razziale, etc., un’elevata sensibilità verso tutte le forme di oppressione sociale di qualsiasi minoranza e – fondamentale – la comprensione del ruolo cruciale del “contesto” in ogni questione attinente alla conoscenza; infine, il desiderio di essere il più possibile “inclusivi”. La rivoluzione degli anni 60 fu guidata soprattutto da questo stadio di sviluppo (nel 1959, il 3 per cento della popolazione era verde, nel 1979 lo era il 20 per cento) – e questi eventi cambiarono davvero il mondo in modo irrevocabile. I Beatles hanno sintetizzato le istanze (e il movimento) del livello “verde” in una delle loro canzoni “All you need is love” (cioè la regola dell’inclusione totale).
Ma con il passare dei decenni, il livello verde cominciò a scivolare verso forme estreme, maldestre, disfunzionali, persino palesemente malate. Il suo tollerante pluralismo si mutò in un relativismo sfrenato e fuori controllo (collassando nel nichilismo), e la nozione che ogni verità deve essere contestualizzata (cioè acquisisce significato dal suo contesto culturale) slittò nella nozione che non esiste in assoluto un’effettiva verità universale, ci sono soltanto interpretazione culturali variabili (e questo alla fine porta a un diffuso narcisismo). Fondamentali nozioni (che all’inizio erano considerati concetti importanti “veri ma parziali”, ma che collassarono in visioni estreme e profondamente auto-contraddittorie) includevano l’idea che la conoscenza è, in parte, una costruzione culturale; la conoscenza è legata al contesto; non ci sono prospettive privilegiate, quello che passa per “verità” è una moda culturale, quasi sempre portata avanti dall’una o dall’altra forza oppressiva (razzismo, sessismo, eurocentrismo, patriarcato, capitalismo, consumismo, sfruttamento dell’ambiente, avidità); il completo, assolutamente unico e assolutamente uguale valore di tutti gli esseri umani, e spesso anche degli animali (egualitarismo). Se esiste una frase per sintetizzare l’essenza di praticamente tutti gli scrittori postmoderni (Derrida, Foucault, Lyotard, Bourdieu, Lacan, de Man, Fish, ecc.) è questa: “non c’è nessuna verità”. La verità, al contrario, è una costruzione culturale; ciò che di fatto ognuno chiama “verità”, non è altro che quello che i membri di una qualche cultura da qualche parte sono stati convinti a considerate come verità. Ma non c’è una cosa reale, esistente, data, chiamata “verità” che stia semplicemente seduta lì aspettando di essere scoperta.
La conclusione è che per i postmoderni tutta la conoscenza è legata al contesto culturale, contestuale; non esiste una valida prospettiva universale, quindi tutta la conoscenza è basata su una mera interpretazione espressa da una prospettiva privilegiata (di conseguenza oppressiva); la conoscenza non è data, ma è costruita (creata, fabbricata, edificata); niente esiste se non la storia, e ciò che ogni cultura considera “vero” oggi, domani sarà drammaticamente superato; non c’è un quadro di riferimento universale per la morale – quello che è vero per te, è vero per te; quello che è vero per me, è vero per me – e nessuna delle due affermazioni può essere messa alla prova su nessun terreno che non sia equiparato all’oppressione; lo stesso avviene con i valori, nessun valore è superiore a un altro (un’altra versione dell’egualitarismo); e se una verità o un valore pretende di essere universale, o pretende di essere vero e valere per tutti, questa pretesa non è altro che potere mascherato che cerca di forzare la gente dovunque sia ad adottare la stessa verità e gli stessi valori di chi li promuove (con lo scopo finale di schiavizzare e opprimere); quindi, è compito di ogni individuo oggi combattere tutte le verità autoritarie che il passato gli ha trasmesso ed essere completamente, radicalmente autonomo (e anche non aderire essi stessi a nessuna verità che potrebbe o dovrebbe essere imposta ad altri, permettendo quindi anche agli altri la loro radicale autonomia – in breve, non prendere in considerazione nessuna cosa chiamata “verità”, che ormai viene vista sempre come uno strumento di potere). Semplicemente si decostruisce ogni singola verità e ogni singolo valore (cosa che di solito porta al nichilismo e al suo compagno, il narcisismo, che insieme formano la coppia dell’inferno postmoderno. Per farla breve, la follia aprospettica del “non c’è nessuna verità” non lascia altro che nichilismo e narcisismo come forze trainanti.
Il “Comma-22” qui è il fatto che il postmodernismo non crede in realtà nemmeno a una di queste idee. Cioè, i teorici postmoderni nei loro scritti violano costantemente i loro stessi principi, e lo fanno continuamente e spesso. I critici (da Jürgen Habermas a Karl Otto Apel, a Charles Taylor) li bacchetterebbero immediatamente perché colpevoli di commettere quella che viene chiamata “contraddizione performativa”, che è la maggiore auto-contraddizione, dal momento che tu stesso fai quello che dici che non può o non deve essere fatto. Per i postmoderni tutta la conoscenza è non- universale, contestuale, costruttivistica, interpretativa – relativa soltanto a una cultura data, in un dato tempo storico, in un particolare luogo geopolitico. Sfortunatamente per loro, i postmoderni sostengono aggressivamente che tutte le loro affermazioni (presentate sommariamente nel paragrafo precedente) valgono per tutti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, senza eccezione. La loro intera teoria è una Visione Generale sul perché tutte le Visioni Generali siano sbagliate, un’ampia metanarrativa sul perché tutte le metanarrative siano oppressive. Essi credono con molta determinazione e forza che sia universalmente vero che non c’è una verità universale. Essi credono che tutta la conoscenza sia legata al contesto, eccetto la loro conoscenza, che è sempre e dovunque vera, indipendentemente dai contesti. E credono che tutta la conoscenza sia interpretativa, eccetto la loro che è solidamente data, oggettiva, e che descrive accuratamente le condizioni in qualsiasi luogo. E credono che la loro visione sia assolutamente superiore in un mondo in cui essi credono che non vi sia assolutamente niente di superiore. Ops!
A partire da circa vent’anni fa, con il libro Sex, Ecology, Spirituality, ho sintetizzato questo disastro del postmodernismo con il temine: “follia aprospettica”, poiché la credenza che non ci sia nessuna verità – che non ci sia una prospettiva che abbia una validità universale (la parte “aprospettica”) – quando è spinta all’estremo come il postmodernismo ha fatto – ha come risultato delle enormi autocontraddizioni e una estrema incoerenza (la parte “follia”). Quando la follia aprospettica infetta l’avanguardia evolutiva, la capacità dell’evoluzione di autodirigersi e autoorganizzarsi collassa.
E’ ormai ampiamente riconosciuto che il postmodernismo come filosofia è da considerarsi morto; e dovunque cominciano ad apparire libri sul tema “Cosa viene dopo” (senza che sia ancora chiaro chi sia il vincitore, ma la tendenza è verso una visione più evolutiva, più sistemica – più integrale). Tuttavia nell’Accademia e nelle Università la morte è lunga e lenta, e sono molti i professori che ancora insegnano qualche versione del postmodernismo e della sua follia aprospettica, anche se hanno essi stessi non pochi dubbi in proposito. (Stiamo dicendo che praticamente ogni importante modello di sviluppo oggi esistente contiene, oltre lo stadio conosciuto come “pluralistico” (postmoderno), almeno uno o due stadi chiamati in vari modi: integrato, sistemico, integrale e simili, e tutti superano le limitazione del collassato pluralismo, contemplando un livello più elevato di integralità e unità, ritornando quindi a un autentico “ordine dal caos”. Per ora, soltanto il 5 per cento della popolazione si trova a uno di questi stadi integrali, ma è certo che è verso questi stadi che l’evoluzione alla fine si dirigerà – se si sopravviverà all’attuale transizione).
Pertanto, il postmodernismo come visione diffusa dell’avanguardia evolutiva è scivolata verso forme estreme (per esempio, affermando non soltanto che tutta la conoscenza è inserita in un contesto, ma che tutta la conoscenza non è altro che mutevoli contesti; e ancora, non soltanto che tutta la conoscenza è concreata con il conoscitore e varie intrinseche, sussistenti caratteristiche del conosciuto, ma che tutta la conoscenza non è altro che una costruzione sociale imposta da un potere). Quando non si afferma soltanto che tutti gli individui hanno il diritto di scegliere i propri valori (sempre che non danneggino gli altri), ma si arriva a dire che non c’è in assoluto nessun valore universale (o che sia condiviso), allora si apre la strada al nichilismo assiologico: non ci sono da nessuna parte valori credibili e reali. E quando la verità è una costruzione sociale, allora non c’è nessuna verità – nichilismo epistemico e ontico. E quando non ci sono da nessuna parte norme morali vincolanti, allora c’è soltanto un nichilismo normativo. Nichilismo, nichilismo, nichilismo – “nessuna profondità, soltanto superficie, superficie, superficie”. E infine, quando non ci sono guide vincolanti per il comportamento degli individui, gli individui rispondono soltanto ai propri bisogni e desideri di auto-promozione – in breve narcisismo. E’ per questo che l’élite postmoderna più influente ha finito per abbracciare, implicitamente o esplicitamente, quella coppia dell’inferno postmoderno: nichilismo e narcisismo – in breve la follia aprospettica – la cultura della post-verità.
Ci sono state molte risposte a questa follia aprospettica, e in differenti ambiti della conoscenza – blanket theory, background theory, campi morfogenetici, campi avanzati; sono state, infatti, poche le aree sociali che non abbiano risentito dell’influenza di questa visione – ed esploreremo molte di esse in questo libro. Il principale fattore chiave dietro queste risposte, l’agente causale principale, è stato il fatto che l’avanguardia evolutiva stessa aveva cominciato a mostrare che stava fallendo malamente, in maniera evidente e spesso. Quando l’avanguardia evolutiva non ha idea di dove si stia andando, ovviamente questo significa che non sa proprio del tutto verso dove andare. Quando nessuna direzione è vera (perché non c’è nessuna verità), allora non si può favorire nessuna direzione, e quindi non viene presa nessuna direzione – il processo non può che bloccarsi, incepparsi, collassare. Il nichilismo e il narcisismo non sono aspetti con cui l’avanguardia possa effettivamente operare. Se è da essi infettato, il processo evolutivo smette di essere funzionale e operativo. Intriso di follia aprospettica, si ferma, e quindi inizia una serie di movimenti regressivi, tornando indietro a un tempo e a una configurazione in cui, come avanguardia, sostanzialmente operava in modo adeguato. E questa regressione è proprio uno degli aspetti principali che vediamo in azione a livello mondiale. E la causa principale e centrale di tutto questo è il fallimento dell’avanguardia verde che si è dimostrata incapace di guidare l’evoluzione. Nichilismo e narcisismo portano l’evoluzione a impantanarsi in un ingorgo. Si tratta di un necessario movimento di autoregolazione, dal momento che l’evoluzione torna indietro, riesamina e riconfigura, un movimento che spesso implica vari gradi di regressione temporanea, o di ritorno sui propri passi per trovare dove il collasso è iniziato, e quindi ripartire da quel punto.
(Gli studiosi della biologia evolutiva tendono a negare che vi sia una qualche sorta di direzionalità o di “telos” nell’evoluzione, poiché la considerano conseguenza di eventi casuali selezionati da una cieca natura. Ma questo è una visione obsoleta propria del materialismo scientistico riduzionistico del Diciannovesimo Secolo. Ignora, di fatto, le più attuali teorie scientifiche che, a cominciare dalle scoperte del Premio Noben Ilya Prigogine, sostengono che persino i sistemi materiali non senzienti hanno un’intrinseca spinta verso l’autoorganizzazione. Quando i sistemi fisici sono spinti “lontano dall’equilibrio”, sfuggono a questo caos passando a uno stato con un livello più elevato di ordine organizzato – come quando l’acqua che sta correndo caoticamente verso lo scarico all’improvviso cambia diventando un perfetto vorticoso mulinello – e questo è chiamato semplicemente “ordine dal caos”. Se la materia non vivente possiede intrinsecamente questa spinta verso l’auto-organizzazione e ordine dal caos, certamente questa spinta ce l’hanno anche i sistemi viventi – ed essa sicuramente include l’evoluzione – una spinta che i filosofi spesso chiamano “Eros”, una intrinseca dinamica verso sempre maggiori totalità, unità, complessità e coscienza. Ma questa spinta verso l’“ordine dal caos” è esattamente quello che l’avanguardia verde non è stata capace di realizzare. Al contrario, essa ha prodotto “più caos dal caos”. Non aveva idea fin dall’inizio di cosa fosse il vero ordine – infatti tutte queste “metanarrative” sono state completamente e aggressivamente decostruite. Poiché niente è vero, non può esserci un vero ordine né, di conseguenza, una direzione preferibile verso cui avanzare. Così come l’avanguardia evolutiva ha collassato nella contraddizione performativa e si è persa nella follia aprospettica, anche l’evoluzione si è bloccata e ha iniziato vari movimenti – non esclusi anche passi indietro regressivi, e la ricerca del punto più stabile in cui un vero processo di auto-organizzazione potesse essere di nuovo intrapreso.)
Uno sguardo d’insieme sull’evoluzione
Gli stadi di sviluppo più antichi sono definiti nel loro insieme “egocentrici”, perché non possono ancora mettersi nel ruolo degli altri e vedere chiaramente il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, né “mettersi nei loro panni”! Le società umane più primitive (e qui parliamo proprio delle popolazioni indigene originali di circa mezzo milione di anni fa, e non di qualche popolazione indigena attuale e di come vive nel mondo di oggi, dove ha continuato ad evolversi), quelle società originali erano tribali (ed egocentricamente tribali), con capacità portante dell’ambiente (cioè la capacità di un ambiente e delle sue risorse di sostenere un certo numero di individui NdT) di circa 40 persone! Il modo di pensare è intriso di fantasia (stadio cognitivo pre-operatorio) ed è spesso chiamato “magico” (come nel vudù in cui, se fabbricate una bambola con le fattezze di una persona e infilzate una spilla nella bambola, la persona reale “magicamente” viene ferita; se danzate la danza della pioggia, la natura è costretta a far piovere); l’identità è egocentrica. Quando le tribù si incontravano (cosa che in molti luoghi originariamente era raro) non è chiaro quale fosse la loro interazione, visto che la principale forma di relazione era basata sui legami di sangue o di parentela, e le tribù non erano imparentate; spesso vi erano guerre, o la riduzione di altre tribù in schiavitù (il 15 per cento delle tribù primitive avevano degli schiavi; e, come recenti studiosi hanno dimostrato correggendo visioni molto romantiche di queste epoche lontane, la guerra era molto frequente).
Mentre l’evoluzione continuava il suo dispiegamento, attraverso vari stadi intermedi, una fondamentale tappa di questo cammino è stata l’emersione di una capacità cognitiva più complessa, che il genio dello sviluppo Jean Gebser ha chiamato “mitica” (l’ “operatorio concreto” di Piaget, o ciò che James Fowler chiama “mitico-letterale” che ha fatto sorgere la maggior parte delle religioni fondamentalistiche che quasi dovunque appaiono in quest’epoca – una versione cristiana del livello mitico-letterale, per esempio, crede che sia letteralmente e assolutamente vera ogni singola parola della Bibbia, la parola di Dio stesso, e che quindi Mosè divise realmente le acque del Mar Rosso, Cristo nacque realmente da una donna biologicamente vergine, ecc.). Qui il livello cognitivo permetteva di comprendere che gli esseri umani non sono in possesso di poteri magici o miracolosi in nessun modo concreto e reale (quanto più spesso gli esseri umani avevano cercato di agire magicamente, tanto più spesso si erano resi conti che fallivano nei loro tentativi), ma la magia era così attraente da non poter essere abbandonata subito e facilmente. Quindi, fu trasferita a un’intera schiera di esseri soprannaturali – dei, dee e spiriti elementari – che potevano operare magicamente. Di più, essi avrebbero potuto farlo in vostra vece, se voi aveste saputo come dirigervi a essi correttamente – il potere magico, dunque, venne trasferito dall’Io a varie divinità mitiche (la trasformazione dall’epoca “magica” alla grande epoca “mitica” avvenne a partire da circa il 10.000 A.C.).
Questo stadio, con la sua capacità cognitiva più complessa, fu capace per la prima volata di “assumere il ruolo dell’altro” in modo chiaro ed estensivo, quindi l’identità primaria poté passare dall’Io e me soltanto, al gruppo (o ai gruppi) – non soltanto una tribù autosufficiente, ma una mega-tribù, un impero di decine o anche centinaia di tribù, una nazione, una religione particolare abbracciata da milioni di persone, un partito politico, ecc. – la sua identità si allargò dal livello egocentrico al livello etnocentrico (basato su razza, colore, sesso, credo, ecc.). Questo stadio, ancorato all’identificazione con un gruppo speciale opposto agli altri, ha una mentalità “noi contro gli altri” molto forte. Di solito, il proprio gruppo è visto – e si crede convintamente che lo sia – speciale, prescelto, il popolo eletto, persino divino, identificato da Dio stesso come l’unico e solo gruppo nel mondo intero veramente santificato – mentre tutti gli altri sono infedeli, apostati, miscredenti, persino demoniaci, e sono di solito destinati all’inferno o a reincarnarsi indefinitamente. E, se consideriamo la storia, quando questo stadio etnocentrico emerge per la prima volta, non era peccato uccidere gli infedeli – infatti, in quanto completamente “altri” essi non hanno anima, quindi ucciderli non solo va bene, ma è anche altamente raccomandato, perché così ritorneranno al loro unico vero Dio che hanno stoltamente rinnegato nelle loro vite. L’atteggiamento di questo stadio è in generale la jihad, la guerra santa, qualunque sia il nome usato per definirla. L’approccio corretto verso i non credenti è, in un ordine di severità crescente, convincerli, convertirli, torturarli o ucciderli – invece lasciarli soli nelle loro errate credenze sarebbe empio e da evitare a ogni costo. Le più ampie capacità di questo stadio (incluso il passaggio dalla consapevolezza egocentrica a quella etnocentrica che implica la formazione di super-tribù molto vaste, legate da credenze, insieme di regole e leggi, religione, e/o autorità) fa sì che molte tribù si uniscano insieme in enormi gruppi, che spesso diventano vari grandi imperi con una forma o un’altra. L’epoca delle civiltà tradizionali classiche e la comparsa delle Grandi Religioni (mitiche) è ormai imminente. Schiavitù, guerra e torture raggiunsero il culmine in quest’epoca: circa 80/90 per cento delle culture orientali e occidentali, durante quest’epoca etnocentrica e mitica, praticavano la schiavitù.
(Questo stadio “ambra” ebbe inizio verso il 10.000 A.C. , con forme iniziali di transizione dallo stadio precedente al nuovo, chiamate culture “magico-mitiche”, o stadio rosso “guerriero”; e la comparsa delle grandi civiltà di appartenenza mitica vere e proprie si colloca intorno al 3000/2000 A.C., raggiungendo il culmine intorno al 1400 DC.
Nel mondo odierno, i bambini nascono a vari stadi magici o “arcaici”, ed egocentrici che dominano gli anni da 1 a 3, passano poi a stadi di transizione magico-mitici intorno ai 4-8 anni, e quindi lo stadio mitico etnocentrico vero e proprio emerge più o meno intorno ai 6-11 anni, presentando inoltre molti sottolivelli. Gli adulti possono rimanere “bloccati” o fissati a uno qualsiasi di questi livelli o sottolivelli arcaici. Una ricerca di Robert Kegan della Harvard Graduate School Of Education, mostra che 3 Americani su 5 – o il 60 per cento – si trova a stadi etnocentrici o anche a stadi inferiori. Se vi pare che questo stadio etnocentrico – con le sue tendenze al razzismo, sessismo, patriarcato, misoginia, dominio mega-tribale, oppressione e religione fondamentalistica – presenti similitudini con l’Estrema Destra Repubblicana e vi pare di riconoscervi il territorio dove si muove Donald Trump, non vi state per niente sbagliando.)
Con lo svolgersi dell’evoluzione, emerge infine la capacità di assumere una prospettiva in 3° persona (cioè la capacità di pensare in modo globale, relativamente oggettivo e “universale”) e non solo con modalità in 2° persona. Questo è stato uno straordinario progresso che cominciò ad apparire in modo ampio nella cultura con il Rinascimento e si sviluppò pienamente con l’Illuminismo (come tutti gli stadi, presenta aspetti positivi e negativi; ma, questa espansione dell’identità in una forma più ampia, più inclusiva, meno oppressiva fu molto positiva). Lo stadio “arancione” segna l’emergere del periodo generalmente noto come “modernità”, e, tra molti altri aspetti, esso ha significato l’esplosione sulla scena di quelle che sono note come le “scienze moderne” – la chimica moderna, la fisica moderna, l’astronomia moderna, la biologia moderna, ecc. Nel complesso, queste scienze avrebbero aumentato di tre decenni la speranza di vita nel mondo, generato un’economia globale di libero mercato, sostenuto la nascita degli stati-nazione, eliminato le malattie più infettive che regolarmente uccidevano dovunque metà della popolazione, e mandato un uomo sulla Luna.
Questo stadio evolutivo ha implicato inoltre che l’identità potesse espandersi dal livello etnocentrico (“il mio gruppo particolare”) al livello mondocentrico (“tutti i gruppi” o “tutti gli esseri umani”, cosa che ha portato a trattare tutte le persone – non un gruppo particolare, ma tutte le persone – in modo equo senza distinzioni di razza, colore, sesso o credo). Questo fu un vertiginoso cambiamento nei valori – dai valori etnocentrici basati sul gruppo-particolare ai valori mondocentrici basati su tutti-gli-esseri-umani – e per questa ragione, in un periodo di tempo di un secolo (dal 1770 al 1870 circa) la schiavitù venne messa fuori legge in ogni società mondocentrica, moderna e razionale sulla faccia di questo pianeta – la prima volta che questo accadeva nella storia umana (e questo risulta essere un evento chiave da ricordare).
Questo stadio è noto con differenti nomi come ragione, razionale, operatorio formale, risultati, merito, progresso, rigore e segna l’inizio degli stadi mondo-centrici – i quali sono tutti chiamati “arancioni” dalla Metateoria Integrale. La maggior parte degli Americani, anche se il loro centro di gravità identitario è rimasto a uno stadio precedente, sviluppa almeno la capacità di pensare a partire da questo stadio arancione. Questa possibilità mondocentrica razionale emerge oggi durante l’adolescenza, tuttavia, ripetiamo, sono molti e vari i fattori che contribuiscono a far sì che l’identità centrale di una persona si stabilizzi o meno a questo stadio. La maggior parte delle persone, anche se non tutte, raggiunge almeno lo stadio mitico-etnocentrico di sviluppo dell’identità centrale – circa il 60 per cento, come abbiamo visto – oltre questo, le cose cominciano divergere considerevolmente.
Questo stadio moderno-razionale è stato l’avanguardia evolutiva fino agli anni Sessanta, come abbiamo visto all’inizio di questo testo, quando il successivo stadio più elevato rispetto allo stadio moderno – cioè lo stadio “postmoderno” – cominciò a emergere su una scala significativa. Infatti, l’avanguardia del materialismo arancione razionale/scientifico/affaristico cominciò a manifestare la sua inadeguatezza come avanguardia evolutiva. Aveva ridotto tutta la conoscenza a una “conoscenza di soli oggetti” (conoscenza che la Metateoria Integrale chiama “del ciò/esso/essi”, NdT), o metodologia oggettivistica/materialistica/industrializzata; della profonda trinità del “Buono, Vero e Bello” aveva gettato via il Buono e il Bello (una catastrofe nota come “il disincanto del mondo”, o “l’universo squalificato”, poiché riduce quasi tutto a nient’altro che realtà conoscibili attraverso le scienze ”dure” che studiano il mondo esterno, fisico, sensomotorio). E’ una caratteristica essenziale di questo stadio credere nella moralità mondocentrica (o nell’idea che ogni persona abbia un intrinseco valore, a prescindere da razza, colore, sesso, credo e che economicamente e socialmente ogni persona meriti uguali opportunità; il valore in generale può anche essere messo in relazione con il merito), tuttavia, esso ha minato notevolmente queste credenze con una fanatica tendenza al positivismo. Disastrosamente, questo stadio ha creato sistemi di vita sociale i quali, sebbene abbracciassero essi stessi una moralità mondocentrica, hanno permesso agli stadi etnocentrici e persino agli stadi egocentrici di rapinarli (e molte imprese scientifico-capitalistiche hanno cominciato a fare proprio questo, con una sfrenata avidità e una competizione senza pietà attraverso il “Darwinismo sociale”).
Lo stadio postmoderno – “verde” nella Metateoria Integrale – ha fatto emergere l’importante prospettiva in 4° persona, che ha la capacità di riflettere e analizzare criticamente queste produzioni “globali” in 3° persona; e, facendo questo, il postmodernismo verde (così chiamato perché viene dopo e riflette sui prodotti del modernismo) decise che la mentalità razionale moderna aveva preso, in molti modi, una direzione distruttiva e controproducente. Quindi ecco emergere il movimento per i diritti civili, il movimento globale ambientalista (che è diventato più vasto di qualsiasi partito politico esistente sul pianeta), il femminismo personale e professionale, il movimento per lo sviluppo sostenibile (negli affari e altrove) – io ho chiamato tutto questo “i grandi doni dello stadio verde”.
Tuttavia, con il passare del tempo, ampiamente ( anche se spesso inconsapevolmente) spinto e sostenuto da arcane discussioni negli ambienti accademici, il postmodernismo pluralistico originariamente sano, divenne un relativismo estremo, eccessivo, autocontraddittorio, totalmente disfunzionale, che rapidamente collassò quasi interamente nel nichilismo e nel narcisismo. E’ nella natura dello stadio che rappresenta l’avanguardia evolutiva che i suoi valori, sebbene essi siano direttamente abbracciati soltanto dallo stadio stesso, tendano tuttavia a permeare e penetrare nella cultura generale. (per esempio, quando l’avanguardia era arancione-razionale-mondocentrica, i cui valori mondocentrici o “tutti gli esseri umani trattati allo stesso modo” includevano una presa di posizione contro la schiavitù, si combatté in America la Guerra Civile per porre fine alla schiavitù, e più di un milione di ragazzi bianchi morì in battaglia per porre fine all’asservimento dei neri – e tuttavia non più del 10 percento della popolazione si trovava allo stadio arancione – ma questi valori erano penetrati nella cultura del Nord e molte persone erano pronte a morire per difenderli – così come molti lo furono nelle Rivoluzioni Francese e Americana, che hanno segnato un democratico rovesciamento arancione della monarchia/aristocrazia ambra).
Ma questa penetrazione accade se i valori che permeano la cultura sono veramente buoni o veramente assurdi – e una penetrazione di valori assurdi fu quella che l’avanguardia verde disfunzionale e malata regalò più tardi al mondo – cioè, “non c’è verità alcuna”. Questa mentalità “post-verità” cominciò a infiltrarsi nell’intera cultura, e bloccò il processo evolutivo – globalmente, gravemente, e in un modo che colse impreparati lo stadio arancione (e lo stesso stadio verde sano) – ed essi non hanno idea da dove tutto questo sia venuto né come porvi rimedio, e questo grazie a un’avanguardia evolutiva decapitata che è proprio l’origine del problema.
Ritorneremo sulla nostra cultura post-verità e le sue molteplici catastrofi, ma ora lasciatemi finire l’esposizione delle tappe principali dell’evoluzione umana fin qui raggiunta, perché, sebbene lo stadio verde sia il più importante stadio/avanguardia (con circa il 20/25 per cento della popolazione), vi è tuttavia uno stadio più elevato, come abbiamo già menzionato brevemente, che ha cominciato a emergere in ancora un piccolo numero di persone. A partire da due o tre decenni fa, i ricercatori cominciarono a notare l’emergere di uno stadio, che nella sua forma effettiva, aveva tratti che disorientavano. Ogni stadio più importante fino ad allora aveva una caratteristica comune: ognuno pensava che la sua verità e i suoi valori fossero i soli “verità e valori” reali esistenti – tutto gli altri erano sciocchi, infantili, ridicoli, o proprio completamente sbagliati. Ma questo stadio mostrava una nuova radicale novità: credeva che tutti gli stadi precedenti avessero rilevanza, che tutti fossero importanti, che tutti dovessero essere inclusi in qualsiasi approccio che sperasse di essere comprensivo, inclusivo e veramente integrato. Per questa ragione, questo stadio è di solito chiamato “integrato”, “sistemico”, “integrale”, ecc. Questo nuovo stadio dell’evoluzione introduce in modo sconvolgente e radicale una mentalità assolutamente nuova, unica nell’intera storia dell’umanità. Clare Graves, un pioniere dello studio dell’evoluzione, ha usato le parole “cataclisma” e ”monumentale salto di significato”. Come già menzionato, circa il 5 per cento della popolazione ha raggiunto questo stadio nel dispiegamento della nostra evoluzione (e avremo altre cose da dire a questo proposito più avanti).
La nascita di una cultura post-verità
Torniamo alla cultura post-verità che il collassato stadio verde ci ha lasciato. Coloro che hanno voluto e promosso la Brexit hanno ammesso apertamente che avevano sostenuto idee che sapevano non essere “vere”, ma lo hanno fatto “perché veramente non esistono fatti”, e ciò che conta davvero è “che noi crediamo questa cosa” (e uno di loro significativamente ha sottolineato “Ho letto il mio Lacan: conta chiunque controlli la narrativa” – lo psicanalista Jacques Lacan è stato un esponente di rilievo del postmodernismo. In altre parole, il narcisismo è il fattore decisivo – quello che voglio sia vero è vero in una cultura post-verità. Trump non ha neppure cercato di nascondere questo; ha mentito sui fatti con gioioso trasporto. Il reporter Carl Bernstein, famoso per il Watergate, ha detto: “Trump vive e prospera in un universo in cui non esistono i fatti. Nessun presidente, incluso Richard Nixon, ha mai ignorato e disprezzato i fatti come fa questo presidente”.
Quando Trump portava avanti la sua campagna per le elezioni, c’erano giornali che tenevano il conto delle menzogne che andava dicendo un giorno dopo l’altro. “Ieri le menzogne sono state 17. Oggi 15.” E i sondaggi, malgrado questo, mostravano regolarmente che la gente considerava Trump “più veritiero” e affidabile, di Hillary Clinton (che, a prescindere dall’atmosfera di “corruzione” che la circondava, secondo l’opinione di molta gente, non aveva deciso in modo palese, deliberato ed esplicito di mentire, o certamente neppure lontanamente tanto quanto Trump). Ma la gente aveva già effettuato la transizione da “la verità dei fatti” a “quello che dico io è la verità”, e Trump ha detto la sua “verità” con una convinzione e una passione molto maggiori di quelle dimostrate da Hillary – e, quindi, in una cultura di non-verità, Trump risulta essere “il più veritiero”. In una cultura del nichilismo, in una atmosfera di follia aprospettica, dove non esiste una verità reale, la verità diventa quello che io più ardentemente desidero – il narcisismo è il fattore chiave in un mare di nichilismo.
(Da notare che i Boomers – i bambini degli anni Sessanta – sono stati spesso chiamati la “Me generation” o la “cultura del Narcisismo”. Confrontando questa con le generazioni precedenti, queste definizioni si sono rivelate molto corrette. Ma, proprio i Boomers cominciarono a prendere in mano l’educazione in questo paese, e in modo significativo ne modificarono l’impostazione in modo da rafforzare soprattutto quella visione che non andava nel senso di “insegnare della verità” – perché non c’è nessuna verità – ma che voleva invece promuovere l’“autostima”. E quello che hanno scoperto – come ha riportato il Time nella sua storia di copertina– è che l’autostima, se non è radicata in concrete realizzazioni, finisce per rafforzare il narcisismo. Infatti, uno studio recente sugli studenti dell’ultimo anno delle superiori nel nostro paese ha evidenziato un tasso di narcisismo molto più elevato di quanto fosse mai stato trovato da quando esiste questo tipo di test – superava di due o tre volte quello dei loro genitori Boomers della “Me generation”! Un’enfasi narcisistica su “io sono speciale” è ormai penetrata in generale nella cultura. Tra molte altre cose, avremmo assistito poi all’emergere della “cultura del selphie”, con la verità individuale di una persona palesemente e facilmente alterata, persino con il photoshop, grazie anche ai social media che hanno iniziato a promuovere “falsità esteticamente gradevoli” e “menzogne rassicuranti”.)
Nel frattempo, l’élite culturale/avanguardia evolutiva verde – amministratori liberali di livello superiore, di fatto tutti i professori universitari (nelle facoltà umanistiche), gli innovatori della tecnologia, i professionisti delle attività umanitarie, la maggior parte dei media e dell’intrattenimento, e la maggior parte della leadership intellettuale liberale – ha continuato a spingere verso il pluralismo/relativismo verde – “quello che è vero per te è vero per te, quello che è vero per me è vero per me” – certamente con le migliori intenzioni, ma di fatto facendo penetrare nella cultura una posizione auto-contraddittoria e profondamente limitata (se tutta la verità si riduce a “è vero per me ed è vero per te”, allora non c’è nessuna “verità per noi” – o verità collettiva, universale, coerente – e quindi, in questa atmosfera di follia aprospettica, la scena era pronta per una cultura fortemente frammentata, e fu quasi esclusivamente questa cultura che le casse di risonanza dei social media iniziarono a promuovere e potenziare.
Ora lo stadio verde è uno stadio mondocentrico. Per quanto appaia confuso a livello teorico circa tutto ciò che è “mondocentrico” (o “universale”) – in particolare, pensa che questo approccio sia oppressivo e motivato da una volontà di dominio – abbiamo visto che il postmodernismo crede fermamente che ciò che sostiene sia vero per tutti –
non si applica solo a qualche gruppo (“etnocentrico”), ma a tutti i gruppi, a tutti gli esseri umani (“mondocentrico”). Ma, con la confusione creata dalla sua follia aprospettica, in cui non si può criticare nessun valore particolare (poiché godono tutti dello stesso trattamento egualitario), questo induce le persone a scivolare verso posizioni etnocentriche, e persino a regredire. I social media online creati dal postmodernismo, infatti, hanno iniziato a regredire e diventare gruppi con una propensione decisamente etnocentrica! L’aspirazione originaria di Internet era di favorire l’emergere di un’umanità globale, libera, unificata, affrancata dall’oppressione, da un’informazione asservita a interessi proprietari, da strutture di potere, e in generale dall’isolamento. Internet fu proclamata un unico grande “cervello globale”, aperto a tutti e capace di coinvolgere attivamente tutti.
Il problema è che, se il cervello è globale (o lo è l’infrastruttura dei network), le menti che lo utilizzano non lo sono. Come ha sottolineato Douglas Rushkoff, la natura propria dell’ambiente digitale tende verso un tipo di decisione o/o (1 o 0, clicca qui o clicca lì, scegli questo o scegli quello). E la natura degli scambi online che permette l’anonimato e di nascondere la propria identità, favorisce le tendenze regressive verso l’aggressione, il narcisismo, l’odio e innumerevoli fanatiche credenze etnocentriche (di tipo sessista, razzista, xenofobico, religioso fondamentalista, politico bigotto) – e poiché predomina il “non c’è nessuna verità”, e nessuna “verità” è disponibile, allora queste tendenze sono dilagate. L’intera esperienza degli scambi online sono collassati, passando dal voler promuovere un’integrazione unificante, globale, per sua natura aperta, a favorire invece spinte etnocentriche chiuse, ristrette, meschine, separatiste, regressive. Ed esse si riversano dai nostri smartphone 24 ore al giorno per 7 giorni, e in tutta la nostra cultura.
(Continua…)