Soffro, ma non corro alcun pericolo

dal libro: “Debellare il senso di colpa.
Contro l’ansia e la sofferenza psichica”,
di Lucio Della Seta, Marsilio Editore, 2005

 

    “Curare chi soffre d’ansia o è soggetto agli attacchi di panico consiste anche nell’informarlo dei meccanismi che ho appena descritto. Il paziente deve sapere, capire, arrivare ad avere chiarezza totale su quello che succede. Ci vuole calma e tempo, ma questo apprendimento è basilare. E’ indispensabile usare illustrazioni anatomiche, poiché vedere, oltre che ascoltare, ha un effetto molto più potente, e lo scopo è quello di portare il meccanismo inconscio a contatto con il controllo della razionalità.

    L’ansia è un moltiplicatore della paura. Se non sappiamo cos’è, se la viviamo come una forza misteriosa, priva di connotati, aliena eppure nostra, l’emozione di ansia o panico produce ulteriore paura, e la paura alimenta ancor più l’ansia, in un circolo vizioso che va spezzato con la conoscenza. Penso che tutti i medici dovrebbero usare questo metodo di informazione perché è a loro che si rivolge, in prima istanza, il paziente ansioso che quasi sempre ritiene di essere malato fisicamente.

    Una volta esclusa una patologia organica, il medico deve spiegare al paziente quello che lo fa soffrire. Non ci si può limitare a dirgli che non ha nulla, che è solo un fatto nervoso, illudendosi così di rassicurarlo. Lui continuerà invece ad avere i sintomi e, in mancanza di un chiarimento, diventerà ipocondriaco. Dopodiché il medico non potrà che mandarlo dallo psicologo o dallo psichiatra.

    Invece il ruolo del medico può essere determinante nel risolvere i molti casi di ansia che hanno bisogno solo di una rassicurazione efficace, scientifica, inoppugnabile.

    Occorre insegnare a distinguere la sofferenza dalla malattia. “Soffro, ma non corro alcun pericolo” è uno slogan fondamentale che il paziente deve fare suo. Perché è vero le alterazioni neurovegetative causate dal malfunzionamento dei meccanismo della paura, e che provocano l’ansia o il panico, non sono mai pericolose, non viene l’infarto, non si sviene, non si impazzisce. Non succede niente e tutto passa sempre. E tali alterazioni non fanno danno nemmeno se vanno avanti per anni. E’ perfino possibile, paradossalmente, che la tachicardia ansiogena dovuta al “lotta o fuggi” renda il cuore più forte e, comunque, nessuno studio ha potuto provare un rapporto tra ansia e malattie organiche. Il paziente deve anche sapere che l’attacco di panico si ferma sempre e comunque da solo. Si ferma subito, se si è imparato a non fuggire e a non chiedere aiuto.

    Dopo tutto, non sono malattie, ma “banali”, anche se dolorose, occorrenze di molti individui della nostra specie nella presente fase evolutiva. Sapere come stanno le cose è già terapeutico. Si elimina la paura di avere l’ansia e si apre la strada all’attenuazione della sofferenza.

    Il medico deve anche chiarire che non esistono limitazioni dietetiche per un ansioso. Deve, per esempio, aiutare il paziente a non credere al luogo comune che il caffè faccia male alle persone “nervose”. Il caffè, in molti casi e se non ci sono controindicazioni organiche, sveglia la “mente” e consente un miglior controllo dell’ansia, o la previene. La caffeina è stata usata come farmaco efficace, nel Settecento e nell’Ottocento, per fronteggiare i disturbi che oggi chiamiamo ansia e panico. Allora si riteneva, erroneamente, che quei disturbi portassero alla pazzia. Ai tanti pazienti che temono di diventare pazzi, e magari si vergognano di dirlo, occorre fermamente chiarire che ciò non è possibile. Non si può diventare pazzi: o lo si è già da adolescenti oppure no, non lo si diventa. Non esistono malattie mentali che insorgano in età adulta.

    Il medico dovrebbe dire, pressappoco, al paziente: “Ti sto aiutando per eliminare o ridurre la sofferenza che hai, e non per guarire da una malattia che non hai. Ci può essere la sofferenza senza essere malati”.

    Oltre a queste informazioni, dalla buona efficacia terapeutica, il medico può consigliare al paziente massaggi, sport, Training autogeno, Biofeedback, e, soprattutto, di imparare a respirare in modo corretto in centri specializzati o in una buona scuola di Yoga, dove, indipendentemente dalle dottrine, gli esercizi respiratori possono essere molto efficaci. Non credo sia giusto parlare di energie positive o negative nell’uomo: l’energia è l’ossigeno e deve distribuirsi bene in tutto il corpo per generare benessere. Alcune scuole di origine orientale sono anche in grado di insegnare tecniche di controllo del pensiero, e questo può essere decisivo per l’eliminazione dell’ansia.

    Freud diceva “pensare è lavoro preventivo”, e aveva ragione, perché il pensiero, che ci caratterizza come specie, serve a pianificare la soluzione dei problemi o a creare. Purtroppo per il nostro benessere soggettivo, e molto probabilmente per ragioni evolutive ancora incomprese, il meccanismo del pensiero è sovradimensionato, il più delle volte rimugina pensieri parassiti. Gira a vuoto su problemi falsi o irrisolvibili in quel dato momento. In fondo la meta più ambita di ogni essere umano sembra quella di raggiungere una condizione in cui, nello stato di veglia, si può sperimentare di Essere, senza pensare a nulla, anche mentre si agisce in base a quei riflessi condizionati che guidano la stragrande maggioranza delle nostre azioni. Essere totalmente in quello che si sta facendo, senza pensare ad altro, come nella cerimonia del tè.

    Tutte le dottrine orientali di salvezza hanno questa finalità. Ma anche in Occidente L’abbandono alla Provvidenza divina, la meditazione, la preghiera tengono a bada i pensieri inutili e disturbanti. Estasi vuol dire “trovarsi fuori dalla mente”, cioè sperimentare di Essere senza che la mente sia in funzione. Come ha detto Paul Valéry: “Parfois je suis, parfois je pense”. “Talvolta sono, talvolta penso”.

    L’uso di droghe da oppiacei e da canapa indiana potrebbero avere da millenni la stessa motivazione: inibire il pensiero. Bisognerebbe trovare metodi di rapido apprendimento per controllare l’eccesso di pensieri inutili, senza dover necessariamente seguire lunghissimi insegnamenti. Non so di ricerche in quest’ambito, a parte quelle di Fritz Perls, che ha creato la Terapia Gestalt. Temo comunque che siano piuttosto scarse, e ciò non deve sorprendere, perché le tecniche per l’eliminazione del pensiero erano nate per finalità spirituali di unione col divino, e non per finalità scientifiche.

    Ora però sono diventate importanti per la ricerca medica. In ogni caso, la momentanea liberazione dal pensiero può far provare una felicità prima sconosciuta, annullando il sentimento di precarietà che ci accompagna sempre, e integrandoci in un tutto immutabile che è quello che è.

    Una simile esperienza può persino suscitare il convincimento che tempo e morte non esistano realmente, e forse per questo il Dalai Lama è sempre di buon umore.

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