La Psicologia Positiva
Un articolo di Matthieu Ricard
libera traduzione dal francese di Giovanna Visini
Contrariamente alle sciocchezze spesso dette e scritte, la psicologia positiva non consiste nel “positivizzare”, cercando di vedere la povertà, la malattia, la violenza e le altre sofferenze come se si trattasse di cose piacevoli. Ancora meno ha a che fare con il “pensiero positivo”, promosso da libri popolari privi di qualsiasi fondamento scientifico, come Il segreto di R. Byrne, dove si proclama che basta desiderare fortemente qualcosa di “positivo” perché questo avvenga. E’ evidente che l’Universo non è a disposizione del nostro psichismo e non costituisce un catalogo sul quale possiamo ordinare tutto ciò che serve a soddisfare i nostri desideri e i nostri capricci.
La psicologia positiva, al contrario, è un ramo della ricerca scientifica che ha l’obiettivo di studiare e di rafforzare le emozioni positive, quelle che ci permettono di diventare degli esseri umani migliori, sperimentando una maggiora gioia di vivere.
Fino agli anni 1980, pochissimi ricercatori si erano dedicati allo studio degli strumenti che avrebbero permesso di sviluppare i lati positivi del nostro temperamento. Se si consulta il repertorio di libri e articoli consacrati alla psicologia dal 1887 (Psychological Abstracts), vi si trovano 136.728 titoli che menzionano la collera, l’ansia, la depressione contro soltanto 9.510 che trattano della gioia, della soddisfazione o della felicità
Nel 1954, il famoso psicologo Abraham Maslow aveva già fatto notare che la psicologia aveva avuto molto più successo studiando l’aspetto negativo della mente umana piuttosto che quello positivo: “La psicologia c ha rivelato molto sui difetti dell’essere umano, le sue patologie e i suoi peccati, ma molto poco sulle sue potenzialità, le sue virtù, la possibilità di realizzare le sue aspirazioni, e tutto ciò che attiene alla sua evoluzione psicologica. E’ come se la psicologia si fosse limitata a una sola metà del suo campo di competenza – la metà più oscura e perniciosa.” (A. Maslow, Motivation and Psychology, 1954.)
Nel 1969, Norman Bradburn riaggiusta questo squilibrio mostrando che gli affetti piacevoli e spiacevoli non rappresentano soltanto dei contrari, ma procedono da meccanismi differenti e devono, dunque, essere studiati separatamente. Accontentarsi di eliminare la tristezza e l’ansietà non assicura automaticamente la gioia e la felicità. La soppressione di un dolore non conduce necessariamente al piacere. E’ necessario, dunque, non soltanto rimediare alle emozioni negative, ma anche aumentare le emozioni positive. Questa posizione concorda con quella buddista che afferma, per esempio, che astenersi dal fare un torto agli altri (l’eliminazione della malevolenza) non è sufficiente, e che questa astensione deve essere rafforzata da una determinazione a fare il loro bene (lo sbocciare dell’altruismo e la sua realizzazione).
Se l’espressione “psicologia positiva” era già stata utilizzata da Maslow e da altri autori, il primo articolo teorico che ha ufficialmente inaugurato questo campo di ricerca si intitolava “What good are positive emotions?” (Cosa hanno di buono le emozioni positive?) pubblicato da Barbara Fredrickson nel 1998 nella rivista Review of General Psychology.
Lo stesso anno, un gruppo di psicologi si è riunito sotto l’egida di Martin Seligman, allora Presidente dell’Associazione Americana di Psicologia e di Mihaly Csikszentmihalyi, molto conosciuto per la sua teoria del “flusso” (l’esperienza gratificante di essere immerso in ciò che si sta facendo, stato nel quale i pensieri e le azioni si accordano naturalmente con fluidità) per fondare la Rete della Psicologia Positiva.
Secondo Barbara Fredrickson, una pioniera della psicologia positiva, autrice del libro Love 0.2 e del saggio Positive Emotions (Handbook of Positive Psychology): “Le emozioni positive aprono la mente e allargano il ventaglio dei pensieri e delle azioni. Esse generano comportamenti flessibili, accoglienti, creativi e ricettivi”. Lo sviluppo di questo tipo di emozioni presenta un vantaggio evolutivo nella misura in cui ci aiuta ad ampliare il nostro universo intellettuale e affettivo, ad aprirci a nuove idee ed esperienze.
Le emozioni positive come la gioia, la contentezza, la gratitudine, la meraviglia, l’entusiasmo, l’ispirazione e l’amore sono molto di più che l’assenza di emozioni negative. Questa dimensione non si riduce a una semplice neutralità emotiva: essa è invece fonte di profonde soddisfazioni. Al contrario della depressione, che provoca generalmente un avvitamento verso il basso, le emozioni positive generano una spirale ascendente: “Esse costruiscono la forza d’animo e influenzano il modo di affrontare le avversità”, scrive la Fredrickson.