Sul Vivere e sul Morire

Dal libro di Jiddu Krishnamurti: “Sul vivere e sul morire”
Ed. Astrolabio

E’ possibile vivere con un senso di armonia, di bellezza e di soddisfazione interminabile? Forse “soddisfazione” non è il termine adatto, perché la soddisfazione comporta sempre frustrazione; forse è meglio formularlo in questi termini: è possibile mantenere continuamente un modo di essere e di agire in cui non ci sia né sofferenza, né pentimento né motivo di rimorso?
Se una condizione del genere esiste, come possiamo raggiungerla? Ovviamente non è possibile coltivarla. Non possiamo imporci di essere armoniosi, non avrebbe alcun senso. Supporre che si debba controllare se stessi al fine di raggiungere una condizione di armonia corrisponde a un modo di ragionare immaturo. Lo stato di completa integrazione, di azione totale, può essere realizzato soltanto quando non lo si cerca, quando la mente non si sta sforzando di seguire un determinato schema di vita.
Generalmente non ci pensiamo a sufficienza. In ogni attività quotidiana la cosa che più ci preoccupa è il tempo, perché è il tempo che ci permette di dimenticare. E il tempo che rimargina le nostre ferite, almeno temporaneamente, ed è il tempo che dissipa l’angoscia e le frustrazioni. Intrappolati nel processo del tempo, come potremo mai raggiungere quella condizione straordinaria in cui non c’è contraddizione, in cui ogni singolo movimento della vita è azione integrata, in cui la vita quotidiana è realtà?
Se ci ponessimo seriamente tale problema, penso che potremo davvero mantenerci in comunione reciproca mentre cerchiamo di chiarire il quesito; tuttavia, se ci limitiamo ad ascoltare le parole, non riusciremo a stabilire un contatto veramente profondo. Siamo in comunione reciproca solo se si tratta di un problema che tocca entrambi.
A quel punto non è più soltanto un mio problema che io cerco di imporre a voi o che voi state cercando di interpretare in base al vostro credo e alle vostre idiosincrasie. É un problema umano, un problema universale, e se ciò sarà assolutamente chiaro per ognuno di noi, sarà proprio ciò che stiamo dicendo e che stiamo pensando e sentendo che ci permetterà di giungere a una condizione di comunione , ed insieme potremo andare molto a fondo.
Qual è dunque il problema? Ovviamente il problema è che dobbiamo produrre un cambiamento incredibile, non solo a livello superficiale, nelle nostre attività esteriori, ma anche internamente, nel profondo. Dobbiamo dar vita a una rivoluzione interiore tale da trasformare il nostro modo di pensare sino a generare uno stile di vita che sia di per se stesso azione totale.
Perché non riusciamo a promuovere una rivoluzione del genere? Per come la vedo io è questo il nocciolo della questione. Cerchiamo dunque di penetrare profondamente in noi stessi in modo da giungere alla radice del problema. Mi pare che la radice sia proprio la paura. Vi invito a osservare i vostri sentimenti evitando di considerarmi semplicemente un oratore che si rivolge al pubblico.
Voglio affrontare la questione con voi perché, se la esploriamo insieme e riusciamo a comprendere una parte della verità, da tale comprensione si produrrà un’azione che non sarà né mia né vostra, e le opinioni, che rappresentano il nostro eterno campo di battaglia, cesseranno di esistere.
Credo che ci sia una paura fondamentale che deve essere scoperta, una paura assai più profonda di quella di perdere il proprio lavoro, o della paura di sbagliare, oppure della paura dovuta a un’insicurezza interiore o esteriore.
Tuttavia, per poter raggiungere il cuore del problema, dobbiamo partire dalle paure che già conosciamo, le paure di cui tutti noi siamo ben coscienti.
Non c’è bisogno che vi dica di cosa si tratta, perché ognuno di noi può osservarle in sé: la paura dell’opinione pubblica; la paura di perdere il figlio, la moglie o il marito per via di quella triste esperienza che chiamiamo morte; la paura della malattia e della solitudine; la paura dell’insuccesso o di non potersi realizzare; la paura di non riuscire ad ottenere la conoscenza della verità, di dio, del paradiso, eccetera.
L’ uomo selvaggio deve affrontare poche e semplici paure, mentre noi siamo vittime di innumerevoli paure la cui complessità aumenta man mano che diventiamo sempre più civilizzati. Ora, cos’è la paura? L’avete mai sperimentata realmente? Potremmo perdere il lavoro, non avere successo, oppure il nostro vicino potrebbe dire qualcosa di spiacevole su di noi; inoltre la morte è sempre in agguato dietro l’angolo. Tutto ciò genera paura, alla quale cerchiamo di sfuggire tramite lo yoga, tramite la lettura, credendo in dio, divertendoci in vari modi, e via dicendo. Allora vi chiedo: “Avete mai sperimentato davvero la paura , oppure la vostra mente non ha mai fatto altro che sfuggirla?”
Prendiamo a esempio la paura della morte.
Avendo paura della morte razionalizziamo la paura cercando di eluderla con affermazioni del tipo: “La morte è inevitabile, ogni cosa muore”. Il processo di razionalizzazione non è altro che una fuga dalla realtà. Oppure crediamo nella reincarnazione, idea che soddisfa e conforta, anche se non può eliminare la paura. Magari cerchiamo di vivere completamente nel presente, dimenticando tutto ciò che riguarda il passato e il futuro, preoccupandoci soltanto del presente , ma la paura continua.
Mi chiedo se avete mai sperimentato la vera paura , invece della paura teorica , che è semplicemente ciò che la mente elabora sulla paura? Forse non mi sono spiegato sufficientemente bene. Conosciamo il sapore del sale. Abbiamo sperimentato il dolore, la lussuria e l’invidia, e sappiamo per esperienza personale cosa significhino tali parole. Conosciamo altrettanto bene la paura?
Oppure abbiamo soltanto un’idea della paura, senza averla mai sperimentata realmente? Ora è chiaro?
Abbiamo paura della morte, ma che cos’è la paura?
Comprendiamo l’inevitabilità della morte, e poiché non vogliamo morire, ne abbiamo paura. Ma non abbiamo mai saputo cosa sia la morte, non abbiamo fatto altro che proiettarne un’idea, un’opinione. Quindi in effetti abbiamo paura della nostra idea della morte!
È talmente semplice che non riesco ad accettare la nostra difficoltà nel comprenderlo.
Per poter sperimentare realmente la paura, dobbiamo essere un’unica cosa con essa. Dobbiamo essere completamente pervasi dalla paura, senza evitarla; lasciamo stare quello che pensiamo, che crediamo, su di essa. In ogni caso non penso che molti tra noi abbiano mai sperimentato la paura in tale modo, perché siamo sempre intenti a evitarla, a sfuggirla.
Non restiamo mai in sua compagnia, osservandola, cercando di capire di cosa si tratti. Mi chiedo se la mente sia capace di vivere con la paura, fondendosi con essa. Le è possibile penetrare quell’emozione invece di evitarla o di cercare di sfuggirla?
Penso che il fatto che viviamo una vita talmente piena di contraddizioni sia in gran parte dovuto al nostro continuo tentativo di sfuggire alla paura.
Signori, siamo ben consapevoli, soprattutto con il passare degli anni, che la morte ci sta aspettando. E ne abbiamo paura, non è vero?
Ora, come possiamo capire tale paura? Come possiamo liberarci dalla paura della morte? Cos’è la morte? È esattamente la fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Ecco la realtà.
Il punto non è se sopravviveremo o non sopravviveremo. La sopravvivenza dopo la morte non è che un concetto. Noi non sappiamo, ma crediamo, perché credere ci conforta. Non affrontiamo mai il problema della morte in sé e per sé, perché l’idea stessa di arrivare a una fine, di penetrare nel regno dell’ignoto è talmente orripilante da risvegliare la paura. Avendo paura, facciamo ricorso a varie forme di credo religioso, che sono semplicemente vie di fuga.
Per poter liberare la mente dalla paura dobbiamo assolutamente conoscere cosa voglia dire morire mentre siamo ancora nel pieno delle nostre facoltà fisiche e mentali, per esempio mentre andiamo in ufficio o partecipiamo a qualche evento. Dobbiamo penetrare la natura della morte da vivi. La fede non ci libererà dalla paura.
Potremo anche leggere un bel po’ di libri sull’aldilà , ma non ci aiuterà a liberare la mente dalla paura, perché la mente è abituata a un’unica cosa, che è la continuità perpetuata dalla memoria, e quindi l’idea stessa di cessare di esistere appare orribile.
Il costante ricordo delle cose che abbiamo sperimentato e goduto, tutto ciò che abbiamo posseduto, il carattere che ci siamo forgiati, gli ideali, le visioni, la conoscenza: tutto ciò è destinato a finire. Come possiamo liberarci dalla paura?
È questo il problema , non le varie ipotesi sulla vita oltre la morte.
Se voglio essere libero dalla paura della morte, è sicuramente necessario che io ne indaghi la natura. Devo farne esperienza, devo sapere di cosa si tratta, devo conoscere la sua bellezza, le sue impressionanti caratteristiche.
Morire dev’essere qualcosa di straordinario, entrare in una dimensione che non abbiamo mai immaginato, totalmente sconosciuta.
Ora, in che modo può la mente sperimentare, da vivi, quella cessazione che chiamiamo morte? La morte è la cessazione. È la cessazione del corpo, e forse anche della mente. Non sto cercando di scoprire se ci sia vita dopo la morte.
Ciò che mi interessa è la cessazione. Posso sperimentare tale cessazione mentre sono ancora in vita?
Come posso far sì che la mia mente, con tutti i suoi pensieri, le attività, i ricordi, giunga alla fine mentre sono in vita, con il corpo non ancora intaccato dalla vecchiaia e dalla malattia, o spazzato via da un incidente? La mia mente, che ha edificato un senso di continuità, può cessare ora, invece che all’ultimo respiro?
Voglio dire, è davvero impossibile liberare la mente da tutto ciò che la sua memoria ha accumulato?
Qualsiasi cosa siate, buddhisti, induisti, cristiani o altro ancora, siete plasmati dal passato, dalle abitudini, dalla tradizione.
Siete avidità, invidia, gioia, il piacere il godimento di qualcosa di bello, l’angoscia del non essere amati, del non riuscire a realizzarvi; siete tutto ciò, ovvero il processo della continuità. Consideriamone un aspetto: siete attaccati a ciò che possedete, a vostra moglie. È un dato di fatto. Non intendo parlare del distacco.
Siete attaccati alle vostre opinioni , al vostro modo di pensare. Ora , siete capaci di porre fine a tale attaccamento? Perché siete attaccati? È questo il punto, non come realizzare il distacco.
Se vi sforzate di essere distaccati, non fate altro che alimentare l’opposto, e di conseguenza la contraddizione continua. Tuttavia nel momento in cui la vostra mente è libera dall’attaccamento, è anche libera da quel senso di continuità che è generato proprio dall’attaccamento, non vi pare? Allora, perché siete attaccati a qualcosa? Perché avete paura che senza tale attaccamento non sareste nulla; quindi voi siete la vostra casa, siete vostra moglie, siete il vostro conto in banca, siete il vostro lavoro. Siete tutte queste cose. Se riuscirete a mettere fine a tale senso di continuità, generato dall’attaccamento, facendolo cessare completamente, saprete cos’è la morte.
È chiaro? Per esempio, supponiamo che io odi e che mi sia trascinato quest’odio nella memoria per anni, lottando continuamente con esso. Posso smettere di odiare all’istante? Posso lasciarlo andare con la stessa definitività della morte?
Quando la morte sopraggiunge non ci chiede il permesso, arriva e si prende la nostra vita, ci distrugge in un sol colpo.
Possiamo lasciar andare nello stesso modo l’odio, l’invidia, l’orgoglio del possesso, l’attaccamento al credo, alle opinioni, alle idee, a un certo modo di pensare?
Possiamo abbandonare tutto ciò all’istante? Non c’è un metodo per farlo, perché ciò non rappresenterebbe altro che una forma di continuità. Abbandonare credo, opinioni, attaccamenti, avidità o invidia vuol dire morire, morire ogni giorno, in ogni momento.
Se giungiamo alla cessazione di ogni ambizione, istante dopo istante, conosceremo quella condizione straordinaria che consiste nel non essere nulla, nel raggiungere, per cosi dire, l’abisso dell’eterno movimento, e oltrepassarne il confine, che è la morte.
Voglio sapere tutto della morte, perché la morte potrebbe essere la realtà , potrebbe essere ciò che chiamiamo Dio, quel qualcosa di assolutamente straordinario che vive e si muove, eppure non ha inizio né fine.
Ecco perché voglio conoscere la morte completamente. Perciò devo morire a tutto ciò che già conosco.
La mente può essere consapevole del non conosciuto solo se muore al conosciuto, se muore senza avere obiettivi, senza sperare in una ricompensa né temere una punizione. Allora potrò scoprire cosa sia la morte mentre sono ancora in vita, ed è in tale scoperta che posso trovare la libertà dalla paura.
Che ci sia o non ci sia una continuità dopo la morte fisica è irrilevante.
Che ci sia o non ci sia una rinascita è una questione di nessun conto.
Per me la vita non è separata dalla morte perché nella vita c’è la morte.
Non c’è separazione tra la morte e la vita. Possiamo conoscere la morte perché la mente muore in ogni istante, ed è in quella cessazione, non nella continuità, che si cela il rinnovamento, la novità, la vitalità e l’innocenza. Tuttavia , per molti di noi la morte è una cosa che la mente non ha mai davvero sperimentato. Per poter sperimentare la morte mentre siamo ancora vivi, dobbiamo abbandonare ogni sotterfugio mentale, ovvero tutto ciò che ci impedisce un’esperienza diretta. Mi chiedo se abbiate mai conosciuto veramente l’amore. Penso che in realtà morte e amore vadano di pari passo. Morte , amore e vita sono la stessa identica cosa.
Ma noi abbiamo diviso la vita, così come abbiamo fatto con la terra.
Parliamo dell’amore come di qualcosa che può essere carnale o spirituale, e abbiamo dato avvio a una battaglia tra il sacro e il profano. Abbiamo separato ciò che l’amore è realmente da ciò che dovrebbe essere, cosicché non giungiamo mai a sapere cosa sia.
L’amore è senza dubbio una sensazione totale che non è sentimentale, nella quale non c’è alcun senso di separazione. È la completa purezza della sensazione senza le caratteristiche divisorie e frammentanti dell’intelletto. L’amore non ha un senso di continuità. Laddove c’è un senso di continuità l’amore è già morto, ha il retaggio dello ieri, con i suoi tristi ricordi, le liti e le brutalità.
Per amare bisogna morire. La morte è amore, le due cose non sono separate.
Tuttavia non voglio che vi lasciate incantare dalle mie parole: dovete sperimentarlo, e cioè penetrarlo, gustarlo e scoprirlo da soli.
La paura della più totale solitudine, dell’isolamento, del non essere nulla è la base, la radice stessa della nostra auto-contraddizione. Poiché abbiamo paura di non essere nulla, subiamo la frammentazione generata dai nostri desideri, ognuno dei quali ci spinge in una direzione diversa. Ecco perché c’è sicuramente libertà dalla paura quando la mente conosce l’azione totale, non contraddittoria; un azione nella quale andare in ufficio non è diverso dal non andarci, dal diventare un sannyasin, dal meditare o dall’osservare il cielo al tramonto. Tuttavia la paura stessa deve essere sperimentata, altrimenti non può esserci libertà dalla paura, e per sperimentare la paura occorre rinunciare a ogni metodo e mezzo per sfuggirla.
Il dio in cui credete è un meraviglioso espediente per sfuggire alla paura.
I rituali, i libri, le teorie e il credo ci impediscono di sperimentarla realmente.
Scopriremo che solo nella cessazione c’è una totale assenza di paura ; la cessazione dello ieri, di ciò che è stato, ovvero del terreno in cui la paura affonda le sue radici. Solo così capiremo che l’amore, la morte e la vita sono un’unica cosa . La mente è libera solo quando è stata abbandonata l’accumulazione della memoria. La creazione è nella cessazione, non nella continuità.
È l’unica via per giungere a quell’azione totale che è vita, amore e morte.

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